venerdì 17 dicembre 2021

Progetto 8 PLUS: gli Chef Stellati presentati dai ragazzi della 4° F Eno

Oltre la didattica tradizionale: uno storytelling enogastronomico in cui i ragazzi della 3° F eno 4°,  F Eno e 5° C Eno, coordinati dalla prof Maria Palumbo, hanno raccontato in modo originale ed accattivante le esperienze degli chef stellati italiani e francesi. 

I ragazzi, mostrando grande competenza nell'utilizzo della didattica digitale, hanno realizzato un lavoro completo nei contenuti e di grande impatto nella presentazione. 

Gli argomenti, precedentemente trattati in aula, sono stati presentati su una "parete digitale" attraverso l'utilizzo di Padlet . 

All'interno, i contenuti sono stati resi accessibili anche attraverso l'utilizzo di QRcode e di software di geolocalizzazione. 

Complimenti ai ragazzi e alla loro insegnante che fanno delle buone pratiche nella didattica un utilizzo quotidiano.



Fatto con Padlet

sabato 6 marzo 2021

‘’La città che vorrei dopo il covid-19: nuovi stili di vita e nuove possibilità’’

Elaborato di Matilda Cami   classificatosi al 2° posto al concorso di idee ‘’La città che vorrei dopo il covid-19: nuovi stili di vita e nuove possibilità’’ promosso dall'Associazione casertana Gianluca Sgueglia


Il rapido ed imprevedibile diffondersi del coronavirus e la sua successiva globalizzazione hanno determinato una rapida e profonda svolta epocale. Il prima e dopo coronavirus. L’esplosione del fenomeno e il drastico provvedimento del lockdown hanno scatenato polemiche, discussioni, ma, soprattutto, hanno smascherato le numerose carenze politiche, strutturali ed ambientali. Ironia della sorte, il coronavirus ha dimostrato che la salute non si compra, né si baratta, creando un livellamento sociale, come Totò ci insegna. Il virus non ha fatto sconti a nessuno. Indubbiamente la pandemia era impensabile; ma è inconcepibile che nel terzo millennio le persone muoiano perché le strutture sanitarie non riescono ad assicurare un trattamento ospedaliero adeguato. Penso che il fenomeno del coronavirus abbia sconvolto le nostre aspettative sul futuro e che porterà ad un cambiamento dei nostri stili di vita. Il dopo-coronavirus sarà un vero e proprio dopoguerra e la parola chiave sarà: ricostruzione. Bisognerà sedersi a tavolino, analizzare i punti deboli della nostra società, della nostra cultura, dei nostri stili di vita, delle nostre città, affinché si possa affrontare, sia materialmente, culturalmente che psicologicamente, eventi simili, sperando che questo sia davvero l’ultimo diluvio. Anch’io mi sono soffermata a riflettere su questa tragedia e ad ipotizzare scenari futuri, ad immaginare nuovi mondi, città possibili ma soprattutto sostenibili e, lentamente, nella mia mente ha preso forma un modello di città che vorrei dopo il covid-19. Il distanziamento sociale si è dimostrato l’unico metodo applicabile, in mancanza di un vaccino, perché le nostre città sono cresciute a dismisura. Il divario tra centro e periferia si è allargato e quindi gli spostamenti devono avvenire necessariamente con mezzi privati o pubblici, intasando le strade col traffico e facendo aumentare il livello di inquinamento atmosferico (durante il lockdown il tasso di inquinamento si è ridotto notevolmente) . Tenendo conto di questi fattori ho pensato che, se le nostre periferie fossero più attrezzate, dotate di maggiori strutture pubbliche e ricreative, gli spostamenti sarebbero minimi e si potrebbe optare per mezzi di trasporto alternativi come la salutare bicicletta e, perché no, spostarsi addirittura a piedi; oppure mettere in circolazione delle navette elettriche. In queste città-quartiere, come amo definirle, non circolerebbero più pullman affollati, come avviene ogni mattina per andare a scuola, perché il numero dei passeggeri sarebbe pari al numero dei posti a sedere. L’uso di mezzi di trasporto alternativi naturalmente influenzerebbe sulla spesa dei combustibili. E meno combustibile si tradurrebbe in un minore impatto ambientale. Inoltre, per ridurre la corsa ai centri commerciali e, quindi, ulteriori spostamenti, pianificherei l’apertura dei negozi in modo tale che gli abitanti di queste città-quartiere possano comprare ogni genere di beni a km zero. Nella mia città ideale vedo tanti spazi verdi dove praticare sport all’aperto; piste ciclabili e parchi dove potersi rilassare, leggere e socializzare. Per quanto riguarda la Sanità, vorrei che fossero costruiti degli ospedali attrezzati per accogliere un’utenza di almeno 4 città-quartiere. La pandemia ha dimostrato che la salute è un bene prezioso e possiamo preservarlo solo rendendo le strutture sanitarie più efficienti e più umane. Per quando concerne l’istruzione, costruirei scuole più sicure, con aule più grandi e bagni più igienici, forniti di dispenser per il sapone, di salviettine e che ad ogni alunno fosse distribuito un kit personale per l’igiene. Installerei distributori di frutta, al posto dello junk food, per abituare gli alunni al mangiare sano e dimostrare loro quanta spazzatura producono questi cibi, soprattutto la plastica, difficile da smaltire. Realizzerei enormi palestre, con molti attrezzi, ma soprattutto provviste di docce, perché spesso gli alunni si rifiutano di praticare educazione fisica per non sudare. Per la mancanza di docce temono di essere bullizzati per il loro PH più acido, soprattutto quando la lezione di ginnastica coincide con la prima ora. Sarebbe bene effettuare due ore consecutive di educazione fisica, per aver il tempo di fare la doccia e tornare in classe più. Proporrei, inoltre, di attrezzare le scuole di piscine e campi sportivi polivalenti dove gli alunni possano praticare calcio, calcetto, basket, pallavolo, atletica all’aperto, magari anche a livello agonistico. In tal modo, la giornata scolastica diverrebbe più piacevole e, potendo praticare questi sport a scuola, nel pomeriggio, le famiglie non dovrebbero affrontare il costo di palestre, piscine e gli spostamenti si ridurrebbero ulteriormente. Naturalmente la scuola dovrebbe riorganizzare i propri spazi, con la collaborazione degli EE.LL. Per consentire agli alunni di svolgere tutte queste attività, senza spostamenti, tutte le scuole dovrebbero avere una mensa. Non solo per ridurre i disagi dovuti agli spostamenti, ma per continuare anche a tavola l’educazione al mangiare sano ed equilibrato, privilegiando prodotti biologici. L’ antica formula” mens sana in corpore sano” è sempre valida. A tal proposito proporrei di trasformare le note disciplinari e le assenze ingiustificate in ore di attività alternative, con la speranza che gli alunni possano riflettere sulla propria condotta e recuperare il rapporto con l’ambiente. Invece di sospenderli, darei loro dei compiti di responsabilità. A turno potrebbero sorvegliare le uscite degli alunni per andare al bagno, controllare se fumano, se applicano le norme igieniche, o scoprire casi di bullismo che molto spesso avvengono proprio nei bagni. Affiderei, inoltre, agli alunni irrequieti, la gestione degli spazi verdi della scuola. Potrebbero mantenere puliti tali spazi e adibire alcune aree alla coltivazione di prodotti agricoli biologici, come legumi, ortaggi, frutta – messi a disposizione dai Coltivatori Diretti locali, da consumare nella mensa scolastica. La scuola potrebbe impegnare gli alunni poco corretti in campagne di sensibilizzazione al rispetto dell’ambiente, facendogli vigilare, supportati da docenti-tutor, parchi e villette comunali per evitare che le persone lascino rifiuti in quei luoghi, dopo averli istruiti sui metodi della raccolta differenziata. Un impegno che potrebbero anche svolgere a scuola per controllare che tutti gli alunni sappiano fare una corretta differenziazione dei rifiuti. Non subito, ma nel lungo periodo, queste iniziative saranno vissute non come punizioni, ma come esperienze di vita di cui essere orgogliosi, con la speranza che possano coinvolgere altre persone, come ad esempio i familiari. Infatti, molte famiglie, non fanno la raccolta differenziata dei rifiuti o non ne seguono le corrette modalità. Proporrei anche dei corsi sul tema Costituzione e Cittadinanza per gli adulti, in particolar modo per i genitori, perché il rispetto delle regole è, secondo me, una priorità, il segreto della convivenza sociale, il simbolo di un Paese civile e culturalmente avanzato. In questo periodo questo rispetto è venuto meno. Quando il virus iniziava a diffondersi, non sono stati sufficienti le raccomandazioni del Governo e delle Comunità Scientifiche a convincere la popolazione a stare a casa, a evitare la frequentazione di luoghi e spazi affollati. E’ assurdo che si è dovuto ricorre ad una legge e a multe salate per trattenere le persone a casa . Infatti, molte persone sono rimaste a casa per paura delle multe e delle conseguenze penali. Non è possibile che il Governo debba imporre delle leggi per la nostra sicurezza e la nostra salute. Non capisco perché lo stato ci debba obbligare a mettere le cinture di sicurezza in macchina, il casco in moto e in bicicletta, a usare i sediolini per i bambini , quando dovremmo capirlo da soli che queste abitudini sono giuste e possono evitare tanti incidenti. Siamo un popolo di incoscienti, egoisti, abbiamo messo spesso in pericolo la nostra salute e quella dei nostri cari, perché siamo abituati a subire le leggi e non ad accettarle in modo critico e consapevole. Questi comportamenti sottolineano la mancanza di cultura ma soprattutto di buon senso. E ancora una volta è la scuola ad essere chiamata a colmare questo vuoto. Come possiamo pensare noi, nativi digitali, di salvare il mondo, evitare guerre, disastri imprevedibili, se le nostre teste sono bombardate dalla musica neomelodica, da stupide trasmissioni televisive, dove tronisti palestrati si propongono come modelli da imitare, perché senza istruzione e con il minimo sforzo, solo sfruttando la loro bellezza, sono diventati famosi e ricchi. Per non parlare dei cosiddetti influencers. Noi giovani siamo disorientati e seguiamo il gregge, per non essere considerati “diversi “. Ecco perché molti adolescenti si ritagliano identità false nella realtà virtuale ed ingannevole dei social. Nel mondo virtuale tutto è più facile, più rassicurante, ma quando il gioco è finito e la connessione si spegne, siamo incapaci di affrontare i problemi reali. Capisco ora il poco interesse che molti miei coetanei hanno per i problemi ambientali . La tecnologia li ha risucchiati in un vortice pericoloso. E’ una droga d cui non possono più fare a meno. E’ chiaro che la mia non è una critica totale all’uso della tecnologia. Al contrario. Essa ha reso il lockdown più sopportabile, ha consentito a molte persone di continuare a lavorare da casa, lo smart working, ed ha supportato la misura del distanziamento sociale, consentendo a molti uffici pubblici, studi medici, di erogare i loro servizi online, evitando lo spostamento selvaggio delle persone. Spero che l’uso della didattica a distanza riesca ad inculcare nei giovani che la tecnologia è importante e necessaria in alcuni contesti e situazioni, ma può essere pericolosa se usata impropriamente e senza moderazione Noi giovani abbiamo bisogno di nuovi stimoli, traguardi per cambiare questa società che ci vuole come soldatini ubbidienti. Penso che la risposta sia ancora la cultura. Solo essa ci può salvare. La cultura rafforza il nostro spirito critico, fa emergere le nostre potenzialità, ci abitua al confronto, ci educa alla tolleranza e ci libera da pregiudizi e tabù. Il sapere ci rende persone libere e sensibili. E’ questo il punto focale della questione: la sensibilità. Se il coronavirus ha rivoluzionato il mondo, ha messo in discussione tutto, allora per ripartire con il piede giusto, per dare una forma ai tanti mondi possibili, c’è bisogno di una nuova sensibilità. Una sensibilità non legata alla materialità, ma alla spiritualità, alla bellezza, alla condivisione, al rispetto per gli altri e per l’ambiente. Secondo me, il compito di creare e diffondere una nuova sensibilità, uno sguardo diverso, più attento alla realtà, deve essere affidato all’arte. Da sempre l’arte, in tutte le sue forme, ha anticipato nuovi tempi. Filosofi, artisti, letterati, poeti hanno saputo vedere lontano, perché dotati di una sensibilità nuova. L’arte deve educare noi giovani al bello, al bene, al giusto, ma, soprattutto all’amore per l’opera più bella, immensa che esiste: il creato. Il meraviglioso creato , i doni che ci offre, il sole, il mare di cui noi non ci accorgiamo, come cita in una sua stupenda canzone Domenico Modugno Il nostro patrimonio artistico e naturale è un libro che noi dovremmo incominciare a leggere per apprezzare ciò che è meraviglioso, perché prigionieri dei social, del ritmo frenetico del vivere moderno, non ci accorgiamo di quanta bellezza ci circonda. E questo è il caso della Reggia di Caserta, un’ opera monumentale, frutto di ingegneria, arte e natura che tutto il mondo ci invidia, ma che noi cittadini non apprezziamo come meriterebbe e le Amministrazioni Locali non hanno saputo valorizzare. Nella mia città ideale, invece, la Reggia ha un ruolo centrale. Essa potrebbe diventare il centro propulsore della nuova sensibilità, della cultura del bello e del turismo ecosostenibile. Se fossi il direttore della Reggia proporrei molte iniziative per dimostrare come, in questo meraviglioso luogo, il legame tra natura e uomo non si è mai spezzato del tutto, nonostante le minacce del progresso, la corsa al profitto e gli atti vandalici. Un luogo di pace e bellezza, un mondo anteriore alle industrie inquinanti, ai ripetitori della telefonia mobile, al traffico caotico, che hanno reso un inferno il mondo al di là delle sue mura. Uno spazio dove rigenerarsi e conciliarsi con la natura. Inoltre, in collaborazione con l’Amministrazione Locale, renderei la Reggia un polo di maggiore attrazione turistica, creando infrastrutture e servizi per migliorare l’accoglienza dei turisti. Il turista che arriva a Caserta è spesso scoraggiato da prezzi molto alti degli alberghi, perché quasi tutti sono concentrati nei pressi della Reggia. A tal proposito incoraggerei la formula dei bed and breakfast o la costruzione di alberghi meno cari in zone più periferiche, per consentire ai turisti di visitare altri luoghi che meritano di essere conosciuti, ma che vengono ignorati, perché i collegamenti non sono agevoli, come le antiche fabbriche della seta di S. Leucio, la zona del Belvedere e la stupenda Caserta Vecchia. Un percorso culturale possibile grazie all’uso di navette elettriche che collegherebbero questi luoghi direttamente con la Reggia. la mia città ideale non è una chimera, una fantasia assurda. Voglio essere ottimista, ma non presuntuosa. Credo che, finita la pandemia, alcune delle mie idee possano diventare realtà, perché sono suggerimenti concreti e attuabili. Ma, naturalmente, il dubbio è in agguato. A preoccuparmi non è la bontà delle mie idee, quanto piuttosto la possibilità che la natura umana possa cambiare cosi facilmente. Pertanto, ribadisco, solo la cultura e il buon senso ci potranno condurre verso il migliore dei mondi possibili. E se capita anche a voi “di pensare che al di là del mare vive una città, dove gli uomini sanno già volare (cit.A.Venditti), allora siamo sulla buona strada! 

MATILDA CAMI